Ricordo di Angelo Caroli
Da giovane talento atteso nel mondo dell’atletica leggera a campione d’Italia nel calcio, da insegnante di educazione fisica a giornalista sportivo, scrittore, poeta: si è fermata a Torino martedì 17 novembre la vita di Angelo Caroli, dopo una malattia che aveva spento poco alla volta il suo cammino di esploratore.
Un cammino che va raccontato dall’inizio. Subito un gol pesante, 29 gennaio 1956, all’esordio in serie A, Bologna-Juventus 0-1, quando non ha ancora 19 anni. Miglior biglietto da visita non poteva esibire quel giovanotto che pareva baciato dagli dèi dello sport. Era nato a L’Aquila, terra di gente orgogliosa e gagliarda, il 7 aprile del 1937. I suoi muscoli erano impastati di seta e acciaio, l’aveva certificato l’atletica leggera quando appena diciassettenne Caroli aveva superato i 7 metri nel salto in lungo. Stupore, speranze avevano scosso una disciplina che stava camminando verso l’appuntamento dell’Olimpiade di Roma ‘60. Ma re pallone era in agguato, l’aveva rapito presto, 4 milioni aveva sborsato la Juventus, una bella cifra all’epoca, per soffiarlo alla Lazio. E parevano davvero denari spesi bene.
Il secondo capitolo della storia parte da Torino, dove il giovanotto si trasferisce dopo aver ritoccato il cognome d’origine: era Carota, Caroli suona meglio per chi si aspetta qualche titolo sulle pagine dei giornali sportivi. Sì, qualcosa arriva, ma il cammino si fa in salita. Il gol di Bologna non ha seguito, la Juventus spedisce il giocatore a
Angelo a Torino mette radici. Si iscrive all’Istituto Superiore di Educazione Fisica, Isef, insegna e allena il gruppo dell’atletica diretto da Marcello Pagani al campo Fiat. Gli torna utile il tempo che non aveva sprecato quando fra un allenamento e una partita si divorava tante letture. Ama la poesia, scrive in modo gradevole, riaffiora il bagaglio di cultura del liceo classico. E tenta un altro salto in lungo. Va a bussare alla porta di Tuttosport. Sono gli ultimi Anni Sessanta, il direttore Giglio Panza che l’aveva notato e seguito con la maglia bianconera come può non concedergli un’altra occasione? La partita del giornalismo è vincente, Angelo a trent’anni trova la strada. Un bel tirocinio nel quotidiano sportivo torinese, poi Stampa Sera, infine la Stampa. Conosce bene il football, ora è lui a dare i voti ai giocatori. Con il suo cuore tenero che gli impedisce di esagerare nelle insufficienze. Sale nella scala e nella stima, segue diverse edizioni dei campionati mondiali, l’ultimo è Messico 1986, le Coppe dei Campioni della Juve, dove scrive e soffre perché è difficile tenere a freno il suo animo di tifoso bianconero.
E quando la pensione gli dà respiro, i libri decide di scriverli oltre che leggerli. L’esordio naturalmente è ispirato al primo amore, – Ho conosciuto la Signora -, la Juventus vista da dentro. E poi – Fischia il Trap, vittorie e tormenti di un re della panchina -. Lascia il filone dello sport e va alla scoperta dei gialli, tanti gialli. Li compita con cura maniacale, se deve raccontare un episodio delittuoso consulta medici, investigatori, giudici. E il suo animo romantico trova spazio anche nella poesia, con raccolte apprezzate. L’ultima – I graffi della felicità -.
Una vita sempre vissuta alla ricerca di un nuovo dribbling, di buone occasioni per misurarsi senza perdere il marchio di fabbrica, l’educazione e la riservatezza. La moglie Marilù se n’era già andata da tempo quando il percorso si fa in salita. Ha il conforto della figlia Clara, che dal papà aveva tratto l’ispirazione per diventare un’apprezzata giornalista. Qualche volta, quando era ancora ragazzina, accompagnava Angelo nei viaggi di lavoro. Clara si distingue sull’edizione torinese di Repubblica firmando la pagina della cultura e degli spettacoli, prima di indirizzarsi altrove. Restano con lei le due nipoti, Valentina e Carolina.
Gianni Romeo