Gianni Pignata, il sorriso di un maestro. Scomparso a 92 anni il decano dei giornalisti sportivi

“Speriamo che nessuno dica ai pesci che sto arrivando a Noli, perché altrimenti scappano tutti”, mi disse anni fa con l’aria seria Gianni Pignata, mentre fumava la pipa. Con i suoi 92 anni era il decano dei giornalisti sportivi, è stato un maestro per molti ed aveva uno spiccato senso dell’umorismo, che a volte compariva anche nei suoi articoli. Noli era il suo piccolo paradiso, dove per decine di anni era andato a pesca all’alba col suo amico fraterno Leo Chiosso appena il lavoro glielo consentiva: a volte in barca, a volte con un motoscafo, quando c’era il passaggio dei tonni. Poi indossava pinne e occhiali e faceva lunghe nuotate. Quello era una grande fetta del suo mondo.
Quel paesino della Liguria gli era entrato nel cuore anche perché proprio lì, tanti anni prima, aveva trovato l’amore: si chiamava Lia, veniva da Milano, sono stati felici insieme per più di sessant’anni, solo la morte avrebbe potuto separarli. Dice il figlio Maurizio: ” Erano una coppia perfetta, sono stati innamorati per tutta la vita. Lei aveva un carattere forte, lui era molto flemmatico e quelle rare volte in cui c’era una discussione la chiudeva sul nascere dicendole “signorsì”. Poi la abbracciava e si accendeva la pipa”.
Ed è stata proprio la morte a separarli. La signora Lia è mancata lo scorso settembre, Gianni si è spento all’inizio di aprile per colpa di un crudele scherzo del destino: si era vaccinato contro il Covid, era in attesa della seconda dose, ma quel virus maledetto che sta mettendo in ginocchio il mondo intero lo ha afferrato e se l’è portato via lo stesso, lasciando in lacrime i figli Maurizio ed Enrico ed i nipoti Federica, Ludovico, Matteo e Nina e creando un grande vuoto nel mondo del giornalismo, non solo quello sportivo. Chi lo conosceva non poteva non volergli bene..
Da ragazzo Gianni aveva giocato a rugby, poi era entrato a “La Stampa” nel 1952, quando la sede del giornale era in pieno centro, in Galleria San Federico. Per oltre quarant’anni si era occupato di sport, anche per “Stampa Sera”,con uno stile rigoroso ma molto piacevole, raccontando fatti, antefatti e retroscena del mondo del ciclismo, del pugilato e del calcio. Aveva seguito, da solo o con il collega Boccacini, Giri d’Italia, Tour de France, Milano-Sanremo, Parigi-Roubaix, Giri di Lombardia. Aveva cominciato raccontando le gesta di Coppi e Bartali, ai tempi in cui il ciclismo era popolare come il calcio, forse di più. Sempre con la sua flemma e con la sua pipa in bocca.
Poi ho avuto l’onore di affiancarlo io, è stato il mio maestro, mi ha aiutato dandomi molti consigli che mi sono stati preziosi e forse non l’ho ringraziato abbastanza. Insieme abbiamo scritto un volumetto, “Io, Gimondi”, un’intervista-confessione al corridore bergamasco, ormai scomparso, che al campionato del mondo di Barcellona riuscì contro tutti i pronostici a mettere ko anche il grande Eddy Merck. Io lo chiamavo affettuosamente “Pig”, come quasi tutti in redazione, ma molti giovani colleghi non riuscivano a non dargli del “lei”, proprio perché lo consideravano un maestro.
Un’altra sua passione era il pugilato, che seguiva con grande competenza. Si era occupato di match che avevano come protagonisti campioni del calibro di Benvenuti, Mazzinghi e Arcari. Aveva anche scritto articoli sul famoso Sugar Robinson, uno dei più grandi di tutti i tempi, usando uno pseudonimo, Gordon Piggins, quando il giornale per motivi finanziari non lo inviava in America ad assistere ai suoi incontri e lui doveva accontentarsi di vederli per televisione o sentirli per radio. Usando la sua firma, quella vera, temeva forse di tradire i suoi lettori
Nel calcio gli era successo spesso di seguire il Genoa e lo faceva con passione, tanto da diventare un tifoso della squadra rossoblù e negli ultimi tempi, costretto in casa come tutti dal virus maledetto che ha cambiato il mondo, si concedeva soltanto una passeggiata verso la vicina edicola, dove si fermava a lungo a parlare di calcio con il suo amico edicolante, tifoso del Toro e anti-juventino come lui. Poi tornava a casa e cominciava a leggere. Era un “divoratore” di libri, soprattutto di gialli e polizieschi: uno ogni due giorni. Cominciavano gli acciacchi, Gianni aveva dovuto abbandonare la pipa e anche i sigari, ma non il buon umore: sapeva che la sua Lia lo stava aspettando lassù.

di Maurizio Caravella