Il secolo della Vittoria: un ricordo di Gianfranco Quaglia

Vittoria Sincero ci ha lasciati a un soffio dai cent’anni, che avrebbe compiuto il giorno dopo, il 22 dicembre 2020. Se n’è andata in silenzio, lei che aveva vissuto un secolo con le parole giuste, essenziali, che raggiungessero il cuore dei lettori. Sapeva trovarle le parole giuste, per ogni circostanza. Come quel pomeriggio d’inverno del 1974.

Nevicava. Con un’intensità tale che il Milano-Torino era arrivato a Porta Nuova in ritardo. Di conseguenza, anch’io, in via Marenco. Oltre la vetrata de “La Stampa” il Po e la collina, già punteggiata di luci nel tardo pomeriggio. Un presepe. Ma non ebbi neppure il tempo di riflettere né di ammirare il paesaggio. Lei, Vittoria, in abito a fiori, sbracciata come in estate: “Mettiamoci subito al lavoro, nevica, dobbiamo chiudere in anticipo, sotto con i titoli…”.

La sua voce squillante sovrastava tutti, compreso il ticchettio delle macchine per scrivere nell’ampia sala della redazione. Per me il primo giorno a “La Stampa” di Arrigo Levi. Lei, Vittoria Sincero, mi aveva chiamato la sera del 5 gennaio con una semplice perentoria telefonata: “Da domani ci vediamo a Torino…”. Alla mia richiesta di spiegazioni, lei laconica e brusca: “Allora non hai capito niente, da domani sei assunto come praticante nella redazione centrale…”.

Era così Vittoria, determinata e diretta, senza fare sconti a nessuno, neppure al tempo. Una vita tutta d’un fiato e di corsa, che l’ha portata a sfiorare il secolo. Difficile toglierle la parola, l’ultima ancora di più. Temperamento indomito, trasferito anche nella professione di giornalista iniziata dopo la laurea in Lettere e Filosofia all’Università di Torno nel 1943, ma l’insegnamento le andava stretto. Approda alla “Gazzetta del Popolo” e viene assunta dopo un “sano abusivato” come si diceva allora. In quella palestra che forgia grandi nomi del giornalismo, lei si mette subito in luce per carattere e intraprendenza e non è facile ai tempi in cui il mestiere è soprattutto declinato al maschile. Ma è anche la “Gazzetta” di Ugo Zatterin, Arturo Chiodi, Giorgio Vecchiato, del “conte” Lorenzo Gigli. Dove hanno mosso i primi passi Sandro Doglio, futuro corrispondente de “La Stampa” da Bruxelles e direttore di “Stampa Sera”; Giovanni Trovati, Piero Ottone che diventerà direttore del “Corriere della Sera”; Giorgio Bocca, Giovanni Arpino. Questa è la scuola. Mi confidava uno “scoop” di cui andava fiera: da cronista riuscì a scoprire per prima, dopo aver bussato a molte porte, il futuro marito di una delle figlie di Alcide De Gasperi.

Nel 1971 Giovanni Giovannini, allora vicedirettore de “La Stampa” e futuro presidente della Federazione Italiana Editori, la chiama affidandole una missione nuova e storica per un giornale come “La Stampa”: l’Editrice ha in animo di aprire un’edizione locale, cominciando dalla provincia più lontana da Torino, la Novara “piemontarda” e “lombardese”, neologismi coniati da Romolo Barisonzo collaboratore de “La Stampa” e compagno di prigionia di Giovannini. Terra di mezzo per identità e quindi più difficile da espugnare. La sfida è alta, Vittoria la persona giusta, perché capace, alle spalle un’esperienza maturata nelle pagine provinciali alla “Gazzetta”. Si getta a capofitto nell’impresa, sa che non può fallire perché ne va di un progetto che negli anni futuri sarà replicato nel resto del Piemonte, in Valle d’Aosta e in Liguria. E diventa la condottiera di quell’avventura editoriale, costruendo una squadra alla quale trasmette il suo contagioso entusiasmo. Il lancio è accompagnato da una forte azione promozionale. In campo inviati come Remo Lugli, Luciano Curino. Il vicedirettore Carlo Casalegno e Alberto Sinigaglia, giovane redattore del “politico”, attuale presidente dell’Ordine dei Giornalisti del Piemonte, incontrano le scolaresche in quella provincia lunga, che va dalla risaia alla Svizzera e che qualche anno dopo offrirà lo spunto a Vittoria Sincero per dare alle stampe il volume “Dal riso al Rosa”. Lo scriverà con il contributo di tutta la sua squadra, che sapeva coinvolgere, i collaboratori “soldatini” alle prime armi, oppure professionisti già esperti. Come Piero Barbè punto di riferimento della redazione di Novara. Ma per tutti è sempre rimasta “La vostra mamma celeste”. Così amava chiosare i suoi ordini di servizio, edulcorando quei comandi via telex ai quali nessuno osava replicare.

Riassume su di sé ruoli diversi, che oggi sarebbero affidati a più figure: cronaca, redazione, coordinamento, marketing, promozione. Lei li svolge tutti con entusiasmo e fantasia. Inventa iniziative anticipatrici, come “Piemonte ghiotto”, un viaggio fra le tradizioni gastronomiche sconosciute del Novarese, del Verbano Cusio Ossola e altro ancora. Ma non fine a sé stesso: coinvolge i lettori in una sorta di referendum popolare, ingaggiando una gara tra cuochi che si sfidano ai fornelli. Un pretesto per cementare incontri con i lettori, la Novara e la provincia che contano, esponenti del mondo culturale, imprenditoriale, politico. In una parola: la fidelizzazione, un modo di conquistare i lettori “prendendoli per la gola”. Lei in prima fila, quasi ogni sera. Dopo aver impostato l’edizione del giorno successivo, si fionda in provincia, partecipa agli incontri conviviali, presenta, trascina. Una notte telefona: “Ferma la pagina. Ho cenato con il sindaco di… e dice che domani aprirà la crisi. Diamo subito la notizia”.

Scopre il lago d’Orta, cui rimarrà sempre legata con affetto ricambiato. Diventa il suo “buen retiro” nei rari momenti di stacco e decide di contribuire a valorizzarlo. Lancia una campagna di raccolta fondi per restaurare le statue del Sacro Monte d’Orta, preda del tempo e dell’incuria. Coinvolge tutti i lettori, la neonata Regione Piemonte, con il presidente Viglione: in pochi mesi, attraverso “Specchio dei Tempi”, raccoglie cento milioni di lire. Un successo.

Scuote il Novarese, ma anche “La Stampa”, che si rende conto di aver imboccato la strada giusta: la provincia dovrà diventare lo “zoccolo duro” del quotidiano, che sarà sempre meno torinocentrico. Dopo qualche anno, sull’onda dei risultati raggiunti, il direttore Arrigo Levi aprirà altre pagine locali. L’inizio di un cammino che porterà in seguito anche al decentramento delle edizioni.

Una Vittoria, di nome e di fatto. Non è stato facile reggere il passo per chi le ha lavorato accanto. Ma anche se solo per uno spicchio dei tuoi cento, gli anni vissuti fianco a fianco sono stati formidabili. E irripetibili.

 

Gianfranco Quaglia