Roberto Franchini 1935-2020

Il grande Bob è andato via. Sembra impossibile, ma Roberto Franchini è morto il 18 novembre per un attacco di cuore. Aveva 85 anni e dai primi ‘70 ai decenni del 2000 non c’è stata generazione di giornalisti a La Stampa come in Piemonte e in tutta Italia, che non l’abbia incrociato o conosciuto. Sempre preziosi erano i suoi consigli, aveva una grande abilità nel destreggiarsi in mezzo alle difficoltà e alle trappole di cui è disseminata la professione.
Aveva una voce profonda una barba bianca che accarezzava continuamente mentre esaminava le pagine o leggeva un pezzo. L’immancabile pipa depositava tanta cenere sul bavero delle sue giacche di lana inglese scelte con cura dall’ amata moglie Nora. Era un modello anglosassone per stile pacatezza e per una naturale avversione verso gli orpelli. “Frasi corte, pochi aggettivi nessuna lagna queste erano le regole della vita in redazione un luogo che da sempre svela le persone.
Roberto era nato a Verona, laureatosi in Giurisprudenza subito dopo passò alla sua vera passione: il giornalismo. Aveva cominciato a L’Arena e presto era approdato a La Stampa. Fisico imponente e stile signorile è stato caposervizio degli Esteri negli Anni 70 e poi caporedattore delle nuove edizioni di Piemonte Liguria e Valle D’Aosta, volute dal direttore Arrigo Levi.
Mise assieme un gruppo di giovanissimi pieni di energia, una redazione di “scapigliati” continuamente pronta allo scherzo. Ragazze e ragazzi belli e talentuosi poi diventati inviati, scrittori critici e direttori di giornali. Un vivaio sempre rinnovato e cresciuto negli anni sotto lo sguardo indagatore e attento di un capo che sapeva raggiungere il profondo delle personalità. Se la bellezza è negli occhi di chi guarda, la forza e l’impegno erano in quelli di Roberto che riusciva ad identificare i caratteri, coglieva le sfumature e valorizzava le aspettative dei suoi giornalisti. Tutti lo ricordano seduto nel suo ufficio stracolmo di libri e di giornali. Era alla guida di una macchina che cominciava a girare di mattina e andava avanti nel giorno per dare una forma alle notizie fino ad accompagnale alle rotative. Quello era il luogo dove Franchini esprimeva valore e carattere, lì dimostrava tutta la sua intelligenza e la sua velocità, un istinto capace di smontare e rimontare le edizioni pure a notte fonda. Era una guida per un gruppo di professionisti che solo a lavoro finito sentiva la fatica, ma anche la soddisfazione di un’impresa ben riuscita.

Roberto è stato un padre amorevole per sua figlia Anna, un nonno appassionato per i due nipoti Francesco e Giovanni e anche un grande sindacalista. Ancora si ricordano le infuocate assemblee a La Stampa quando era nel Comitato di redazione. Gli appartenevano un profondo senso di giustizia per le libertà individuali e un eloquio brillante e preciso. Nel ‘96, racconta la collega Silvana Mossano presente ad un congresso Fnsi, durante uno scontro per l’estensione di alcuni benefici ai compagni omosessuali ed etero dei redattori, Franchini si sedette davanti a un giornalista che si stava opponendo strenuamente e lo gelò: “Guarda che votando questa proposta a favore delle coppie omosessuali, non sei obbligato a diventarlo anche tu”.

Tagliente, chirurgico ma anche buono, sempre pronto ad ascoltare mettendosi a disposizione. Quando decenni dopo, era il novembre del 2003, l’allora direttore de La Stampa, Marcello Sorgi, mi chiese di diventare il capo delle Province, Franchini mi telefonò per incontrarci. Io ero perplessa, dubitavo, non sapevo se accettare il ruolo, lui mi ascoltò a lungo, poi dritto come sempre concluse: “Bene, ti capisco, ma adesso comincia”. Insomma: frasi corte e poche lagne.

Laura Carassai