Sinigaglia: “Vicini al dolore di Parigi”


Il presidente Sinigaglia durante il suo intervento al Consiglio comunale aperto del 12 gennaio (foto Mariotti Gabriele)

Consiglio comunale aperto lunedì 12 gennaio a Torino, indetto dal sindaco Piero Fassino. Una cerimonia in memoria dei giornalisti di Charlie Hebdo, morti nell’assalto alla loro redazione, e in ricordo delle altre vittime degli attentati compiuti da integralisti islamici a Parigi.

A testimoniare solidarietà con la Francia si sono raccolti in Sala Rossa le massime autorità civili e militari e i rappresentanti del mondo culturale. Con il vice presidente del Consiglio Comunale, Silvio Magliano, e con il sindaco Fassino, hanno parlato il console di Francia Edith Ravaux, e Alberto Sinigaglia, presidente dell’Ordine dei giornalisti del Piemonte. Ecco il suo intervento.

Vi siamo vicini, si dice spesso a un amico, a una famiglia in lutto. Ma la vicinanza di Torino e del Piemonte alla Francia e a Parigi ferite è reale e profonda, specie tra chi lavora nell’informazione. Le minacce a giornali e a giornalisti, culminate con la violenza estrema il 7 gennaio, il mercoledì della strage a Charlie Hebdo, ci ricordano l’agguato fascista a Piero Gobetti e i giornalisti e gli intellettuali torinesi picchiati, imprigionati, confinati, esiliati dal regime. Ci ricordano le spedizioni degli squadristi e della polizia del fascismo nelle redazioni torinesi che non ubbidivano alle veline del duce.

Ci ricordano gli agguati delle Brigate rosse. Due volte irruppero a La Stampa incappucciati, lanciando molotov. Un’altra volta collocarono una bomba ad alto potenziale sul muro del reparto spedizioni, che solo per caso non fece strage di operai. Intanto i brigatisti sparavano alle gambe di molti colleghi. Assassinarono il vicedirettore de La Stampa Carlo Casalegno mentre, disarmato e senza scorta, rincasava in corso re Umberto, e poco dopo uccisero a Milano Walter Tobagi nei pressi del Corriere della Sera, dove stava andando a fare il suo mestiere, il nostro mestiere.

La vicinanza con Parigi e la Francia è fatta pure di antiche affinità, di un comune senso della libertà, dell’amore per una cultura laica, rispettosa delle fedi religiose, caparbia nel perseguire un nuovo umanesimo. E’ fatta di quella convivenza civile che per esempio vide un tempo nella nostra città due macellerie Cacher frequentate insieme da ebrei e musulmani. Ecco un altro motivo di speciale partecipazione al dolore della Francia e di Parigi.

Il vivere nella città di Primo Levi e di Rita Levi Montalcini, nella città in cui Leone e Natalia Ginzburg contribuirono a far grande l’Einaudi, nella Torino che conquistò primati grazie a scienziati ebrei, ci trova sgomenti davanti ai cittadini uccisi a Parigi perché facevano la spesa nel negozio ebraico e siamo sorpresi e preoccupati dal crescere dell’antisemitismo in Francia e in Europa.

Constatiamo che esso molto si dirama per le vie telematiche, così utili a rendere più immediata e capillare l’informazione, ma purtroppo anche efficaci e micidiali veicoli di disinformazione, di controinformazione, di razzismo, di ideologie o pseudo ideologie avvelenate e pericolose. Questa realtà ci riporta al giornalismo e a che cosa possa o debba fare davanti a vecchi e nuovi nemici. Quanto avvenuto a Parigi è l’eruzione di un vulcano dalle vaste pendici, sotto le quali ribolle un magma composto da interessi politici locali e internazionali, da enormi interessi economici, da poteri religiosi collusi con satrapi e dittatori, dal malessere sociale delle periferie francesi, tedesche, inglesi, americane, italiane. Ma una percentuale di quel magma è anche composto da disinformazione e da mancanza di formazione, cioè di cultura. E’ nell’ignoranza, nel non conoscere le cose che attecchiscono il razzismo, l’ antisemitismo, l’odio per l’Islam, meno diffuse ma pericolose simpatie per “il califfo” come quelle che erano andate persino a Bin Laden.

Purtroppo la crisi economica ha colto il giornalismo impoverendolo proprio nel pieno di una rivoluzione tecnologica che avrebbe invece richiesto maggiori investimenti. Lo ha indebolito nella qualità e nell’utenza. Lo sanno bene molti giornalisti italiani e in speciale modo i giornalisti del Piemonte, tra i più convinti e assidui nel difendere e accrescere la propria professionalità, nel ritrovare o conquistare qualità, affidabilità, credibilità, autorevolezza. Lo facciamo in nome di un’etica condivisa, consci della responsabilità civile e culturale che ci deriva dall’essere il nostro un pubblico servizio: più e meglio i cittadini sono informati, più vera e forte è una democrazia, e più in grado di affrontare i pericoli, interni o venuti da fuori. Farlo in nome dei cronisti caduti per andare a raccontare le guerre del mondo e ora anche in nome dei colleghi caduti a Parigi ci renderà ancora più consapevoli e più determinati.

 

 

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